78 anni fa Badoglio annunciava l’armistizio ai microfoni dell’EIAR
DALLA STORIA
Alle 19:42 dell’8 settembre 1943 il Maresciallo Pietro Badoglio ai microfoni dell’EIAR, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche antecedente l’odierna RAI, annunciò alla popolazione italiana l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile, firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese. Dopo la sigla dell’armistizio di Cassibile, Badoglio riunì il governo solo per annunciare che le trattative per la resa erano “iniziate”. Gli Alleati, da parte loro, fecero pressioni sullo stesso Badoglio affinché rendesse pubblico il passaggio di campo dell’Italia, ma il Maresciallo tergiversò. La risposta degli anglo-americani fu drammatica: gli aerei alleati scaricarono bombe sulle città della penisola. Nei giorni dal 5 al 7 settembre i bombardamenti furono intensi: oltre 130 aerei B-17 (“Fortezze volanti”) attaccarono Civitavecchia e Viterbo. Il 6 fu la volta di Napoli. Perdurando l’incertezza da parte italiana, gli Alleati decisero di annunciare autonomamente l’avvenuto armistizio: l’8 settembre, alle 17:30 (le 18:30 in Italia), il generale Dwight Eisenhower lesse il proclama ai microfoni di Radio Algeri, poco più di un’ora dopo Badoglio fece il suo annuncio da Roma. La fuga dalla Capitale dei vertici militari, del Capo del Governo Pietro Badoglio, del Re Vittorio Emanuele III e di suo figlio Umberto dapprima verso Pescara, poi verso Brindisi, e la confusione, provocata dall’utilizzo di una forma che non faceva comprendere il reale senso delle clausole armistiziali e che fu dai più erroneamente interpretata come indicazione della fine della guerra, generarono grande confusione presso tutte le forze armate italiane su tutti i vari fronti sui quali ancora combattevano. Le conseguenze furono drammatiche: 815000 soldati italiani vennero catturati dall’esercito tedesco e destinati a diversi Lager con la qualifica di I.M.I. (internati militari italiani) nelle settimane immediatamente successive. Più della metà dei soldati in servizio nella penisola abbandonarono le armi e tornarono alle loro case in abiti civili. La ritorsione da parte degli ormai ex-alleati tedeschi, i cui alti comandi, come quelli italiani, avevano appreso la notizia dalle intercettazioni del messaggio radio di Eisenhower, non si fece attendere: fu immediatamente messa in atto l’Operazione Achse (“asse”), ovvero l’occupazione militare di tutta la penisola italiana e il 9 settembre fu affondata la Corazzata Roma, alla quale nella notte precedente era stato ordinato, assieme a tutta la flotta della Regia Marina, di far rotta verso Malta in ottemperanza alle clausole armistiziali, anziché, come precedentemente stabilito, attaccare gli alleati impegnati nello sbarco di Salerno. Nelle stesse ore una piccola parte delle forze armate rimase fedele al Re Vittorio Emanuele III, come la Divisione Acqui sull’isola di Cefalonia dove fu annientata; una parte si diede alla macchia dando vita alle prime formazioni partigiane come la Brigata Maiella; altri reparti ancora, soprattutto al nord, come la Xª Flottiglia MAS e la MVSN, scelsero di rimanere fedeli al vecchio alleato e al fascismo. Nonostante il proclama di Badoglio, gli alleati impedirono una massiccia e immediata scarcerazione dei prigionieri di guerra italiani.
Nel 2018, Giuseppe Conte allora Presidente del Consiglio intervenendo alla cerimonia di inaugurazione dell’82esima Fiera del Levante di Bari, ricorse a un paragone ardito per raccontare lo sforzo del governo in quel momento per la ripresa economica dell’Italia, proponendo il confronto con il dopoguerra. “Negli anni successivi all’8 settembre 1943 – ha scandito – i cittadini italiani hanno sormontato difficoltà enormi a costo di sacrifici inimmaginabili e lasciato in eredità un Paese ricco e avanzato, rispettato nel mondo; l’hanno fatto motivati nella fiducia nel domani”. Solo pochi mesi dopo il mondo veniva travolto dalla pandemia del Covid-19 ribaltando in ciascuno la visione di progresso e invulnerabilità acquisiti con la modernità come mai avremmo potuto immaginare. E’ un fatto che la vicenda umana sia contrassegnata da fasi alterne come ci racconta la Storia nei suoi momenti più tragici, come fu a esempio la barbarie della guerra in quell’Europa del Novecento che diede i natali alle menti più colte e significative di sempre e ciò malgrado fu divorata dal buio delle dittature e a momenti di rinnovamento e civiltà vissuti nell’osservanza dei diritti umani. Accanto alla fiducia nel domani, imprescindibile per la continuità dell’avvenire e per la risoluzione dei problemi, è importante riconoscere la centralità dell’uomo contro ogni forma di prevaricazione, di fanatismo ideologico, religioso difendendo i diritti acquisiti che sempre vanno presidiati perché basta distrarsi un attimo e ovunque nel mondo, a volte sorprendentemente, si torna indietro.
In omaggio alle ragioni del cuore, di seguito la poesia di Ikmet, uno dei più importanti poeti turchi dell’epoca moderna:
Prima di tutto l’uomo (ultima lettera al figlio)
Non vivere su questa terra
come un estraneo
e come un vagabondo sognatore.
Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all’uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza
e il dolore dell’uomo.
Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l’uomo!
Mary Titton
PRIMO PIANO
Il dramma dell’Afghanistan.
Il 31 agosto scorso la partenza dell’ultimo aereo americano da Kabul ha segnato una data tragica nella tormentata storia dell’Afghanistan: i talebani hanno ripreso il potere, costringendo alla fuga il presidente Ashraf Ghani, capo della debole Repubbica islamica, restaurando l’Emirato islamico dell’Afghanistan e proclamando la “piena indipendenza” del Paese. Gli Stati Uniti, che dal 14 agosto, giorno in cui era iniziato il ponte aereo, avevano evacuato circa 122mila persone, completando il ritiro dal Paese, hanno concluso così, dopo 20 anni, la guerra più lunga della storia americana, iniziata quando, in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001 e il continuo rifiuto da parte dei talebani di consegnare Osama bin Laden, decisero di invadere l’Afghanistan con l’obiettivo di porre fine al regime dei talebani ed eradicare Al Qaida dal territorio. Il Presidente Biden per ragioni di politica interna, la ripresa economica negli USA, il timore che la continuazione della guerra sotto la sua amministrazione potesse causare la morte anche di un solo soldato americano, i sondaggi favorevoli al disimpegno, nonostante le richieste di un rinvio da parte di alleati come Regno Unito e Germania, ha deciso di continuare sulla linea del suo predecessore e di ottemperare all’accordo di Doha, un trattato di pace che, sottoscritto il 29 febbraio 2020 a Doha (Qatar) dall’Amministrazione Trump e dai talebani, prevedeva di porre fine al conflitto armato in Afghanistan, disponendo il totale ritiro delle forze armate statunitensi dal Paese entro il 31 agosto del 2021. Così falliti l’intervento Usa, giustificato dall’attacco dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle, di cui ricorre quest’anno il 20° anniversario, e il tentativo dell’Occidente di esportare la democrazia con i soldi e con le bombe, i talebani, scacciati vent’anni fa, sono tornati più baldanzosi di prima e, sconfitta la debole resistenza delle forze capeggiate dal figlio di Massud, hanno instaurato un regime intollerante che adotta in modo radicale la sharia, reprime le donne e ogni libertà, proibisce la musica e lo sport, non rispetta i diritti umani. A pagare il prezzo più alto, come 20 anni fa, sono le donne, costrette ad indossare il burka, a lasciare il posto di lavoro in ospedali, scuole, banche, a non praticare sport, a non frequentare le scuole superiori, recluse in casa, picchiate e anche uccise, come ha raccontato l’attivista pakistana Malaia Yousafzai, premio Nobel per la pace, gravemente colpita alla testa il 9 ottobre 2012, quando era una ragazzina, da talebani armati saliti a bordo dello scuolabus su cui tornava a casa da scuola. Per non risalire alla storia antica di questo territorio asiatico, che si ipotizza sia stato la terra di origine del profeta Zarathustra, fondatore dello Zoroastrismo, tra il 1800 e l’800 a.C., ci limitiamo a ripercorrere gli eventi dalla presa del potere da parte dei talebani, o talibani (in lingua pashtu e in persiano طالبان, “ṭālebān”, plurale di ṭāleb, ossia “studenti/studente”), gli studenti delle scuole coraniche in area iranica, che si svilupparono come movimento politico e militare per la difesa dell’Afghanistan nella guerriglia successiva al crollo del protettorato sovietico e, dopo una sanguinosa guerra civile che li vide prevalere su tagiki e uzbeki, hanno governato su gran parte dell’Afghanistan (escluse le regioni più a occidente e a settentrione) dal 1996 al 2001, ricevendo un riconoscimento diplomatico solo da parte di tre Stati: Emirati Arabi Uniti, Pakistan e Arabia Saudita. Ora che sono di nuovo al potere, la situazione è grave e complessa: gli Usa e i Paesi occidentali hanno deciso di non chiudere il dialogo con il nuovo regime fondamentalista per non compromettere l’evacuazione dei loro cittadini e degli afghani che hanno collaborato con loro in questi anni di occupazione e anche di cittadini afghani prima che i talebani proibissero a questi ultimi di lasciare il Paese. Intanto il nostro Premier Mario Draghi, avendo l’Italia la presidenza di turno, si è fatto promotore di un G20 straordinario per risolvere due scottanti problemi: quello dei corridoi umanitari e quello dei flussi migratori soprattutto sulla rotta balcanica.Vogliamo chiudere con il “Grazie da parte mia e del mio allenatore, grazie Italia, e grazie a tutti voi per averci salvato” da parte delle quattro calciatrici del Bastan Fc di Herat, una delle squadre simbolo di emancipazione femminile in Afghanistan, arrivate venerdì mattina a Fiumicino con uno degli ultimi voli di evacuazione organizzati dalle forze militari italiane.