La spedizione di Napoleone.

alla scoperta dell’antico Egitto.

DALLA STORIA

Nel luglio del 1799, in Egitto, veniva rinvenuta la Stele di Rosetta. Una scoperta archeologica di enorme importanza perché permise la decifrazione dei geroglifici, la scrittura dell’antico Egitto. Ma prim’ancora di entrare nel merito va ricordato che la storia della Stele di Rosetta è legata a Napoleone Bonaparte e alla campagna d’Egitto progettata per colpire il predominio britannico nel mar Mediterraneo e aprirsi la strada verso le Indie. A tale riguardo nello splendido libro di C. W. Ceram, “Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia”, Einaudi editore, si trovano pagine di suggestiva bellezza che raccontano quegli avvenimenti dove accanto alla sete di conquista del leggendario condottiero, imperatore della Francia e genio militare tra i più grandi della Storia nasceva la scienza storica di un antico passato: l’Egittologia. Precursore dell’Età Moderna Napoleone aveva colto l’importanza culturale oltre che militare di quell’impresa in una Terra “dove era nata la sapienza”. Si premunì, quindi, di salpare con a bordo anche 175 uomini d’intelletto tra artisti, storici, geografi, naturalisti, fisici, chimici, filologi che avrebbero svelato al mondo i tesori e le conoscenze dell’Antico Egitto come egli, in modo lungimirante aveva intuito aprendo così la strada alle scoperte archeologiche. 

“Il 17 ottobre 1797 fu firmata la pace di Campoformio. Con essa si chiuse la campagna d’Italia, e Napoleone fece ritorno a Parigi. “I giorni eroici di Napoleone sono passati”, scrisse Stendhal. Ma il romanziere sbagliava. I giorni eroici cominciavano. Ma prima di accendere tutta l’Europa come una cometa, Napoleone si abbandonò, “da visionario, a una chimera nata dal suo cervello malato”. Nella piccola stanza che misurava con passo inquieto, divorato dall’ambizione, paragonandosi ad Alessandro e disperato per quanto non aveva ancora compiuto, egli scrisse: “Parigi pesa su di me come una cappa di piombo! La vostra Europa è una collina di talpe! Solo in Oriente, dove vivono seicento milioni di uomini, possono essere fondati grandi regni e organizzate grandi rivoluzioni! (Del resto, questo concetto dell’Egitto come porta dell’Oriente è di gran lunga più antico di Napoleone. Goethe aveva già preconizzato la costruzione del canale di Suez e ne aveva giustamente valutato l’importanza politica. E ancora prima, nel 1672, Leibniz aveva indirizzato a Luigi XIV un promemoria in cui esponeva l’importanza dell’Egitto per quanto poteva riguardare gli sviluppi posteriori della politica imperiale francese). Il 19 maggio 1798 Napoleone partì da Tolone alla testa di una flotta di 328 navi e con a bordo un esercito di 38000 uomini (press’a poco come Alessandro, quando partì alla conquista delle Indie). La meta era Malta, e quindi l’Egitto! Un piano da Alessandro. Oltre l’Egitto, Napoleone spingeva lo sguardo fino all’India. La spedizione per mare era un tentativo di colpire a morte in uno dei suoi membri l’Inghilterra inattaccabile in Europa. Nelson, comandante della flotta inglese, incrociò invano nel Mediterraneo per un mese; due volte arrivò quasi in vista di Bonaparte, ma due volte lo mancò. Il 2 luglio Napoleone toccò il suolo egiziano.

Dopo una terribile marcia attraverso il deserto i soldati si bagnarono nel Nilo. E il 21 luglio il Cairo emerse dalle prime nebbie, come una visione da Mille e una notte; con le esili torri dei suoi quattrocento minareti e con le cupole della moschea di Djami-el Azhar. Ma accanto a questo splendore di eleganza e di ornate filigrane sulle brume di un cielo mattutino, accanto al ricco, voluttuoso e incantato mondo dell’Islam, si innalzavano dalla gialla arsura del deserto, contro la parete grigio-violetta dei monti di Mokattam, i profili di costruzioni gigantesche, fredde, enormi, distanti: le piramidi di Gizeh, geometria pietrificata, silente eternità, testimonianze di un mondo già morto quando l’Islam non esisteva ancora. I soldati non ebbero neanche il tempo di stupirsi o di ammirare. Davanti a loro giaceva un morto passato; il Cairo rappresentava un futuro ricco di fascino, ma un presente di guerra li attendeva: l’esercito dei Mamelucchi. Diecimila cavalieri brillantemente addestrati, cavalli irrequieti, fiammeggianti yatagan; e davanti a tutti Murad, con ventitre dei suoi bey, su un cavallo candido come un cigno e con un turbante verde scintillante di brillanti. Napoleone additò le piramidi; e allora non fu solo il generale che parla ai suoi soldati, lo psicologo che si rivolge alle masse, ma un occidentale che si misura con la storia del mondo. “Soldati! Di lassù quaranta secoli vi guardano!”. Lo scontro fu formidabile. E la foga degli orientali fu sopraffatta dalla disciplina delle baionette europee. La battaglia si trasformò in una carneficina. Il 25 luglio Bonaparte entrò al Cairo. Metà della strada verso l’India sembrava percorsa. Ma il 7 agosto vide la battaglia navale di Abukir, Nelson aveva finalmente snidato la flotta francese e piombò su di essa come un angelo vendicatore. Napoleone era preso in trappola. L’esito dell’avventura egiziana era deciso. Essa si trascinò. È vero, ancora per un anno; portò le vittorie del Generale Desaix nell’Alto Egitto e infine la vittoria terrestre di Napoleone presso quella medesima Abukir che aveva visto la distruzione della sua flotta. Ma più che vittorie portò miseria, fame, pestilenza, e a molti la cecità prodotta dalla malattia egiziana che divenne la costante accompagnatrice di tutte le unità militari, al punto da essere designata scientificamente come “ophthalmia militaris”. Il 19 agosto 1799 Napoleone abbandonò la sua armata. Il 25 agosto, in piedi sulla tolda della fregata Muiron, egli vide la costa della terra dei Faraoni inabissarsi lentamente nel mare. Allora si volse e fissò lo sguardo sull’Europa. La spedizione di Napoleone, militarmente fallita, ebbe comunque il risultato di schiudere alla vita politica europea l’Egitto moderno e alla ricerca scientifica quello antico. Infatti, a bordo della flotta francese, non c’erano solo duemila cannoni, ma anche centosettantacinque “scienziati civili”…; essi erano forniti di una biblioteca che conteneva quasi tutti i libri reperibili in Francia sulla terra del Nilo, e di duecento casse con apparecchi scientifici e strumenti di misurazione. … Nella primavera dell’anno 1798, nella grande sala di riunioni dell’Institut de France, Napoleone aveva in mano per la prima volta esposto agli scienziati i suoi progetti. Egli teneva in mano i due volumi del “Viaggio in Arabia” di Niebuhr, e battendo seccamente con le nocche dell’indice sul dorso di pelle del libro, quasi a ribadire le sue parole, andava esponendo quali fossero i compiti della scienza in Egitto. Pochi giorni dopo salivano con lui a bordo della flotta astronomi e geometri, studiosi di chimica e di mineralogia, tecnici e orientalisti, pittori e poeti”, fra loro c’era anche Vivant Denon, l’autore della preziosissima “Description de l’Egypte”, l’opera che costituì la base dell’egittologia. Quando Napoleone scelse quest’uomo perché lo accompagnasse in qualità di collaboratore artistico nelle sue spedizioni, fece uno di quei colpi fortunati che solo i posteri possono valutare appieno.

Frontespizio de “la Description de l’Egypte, di Vivant Denon

Nel frattempo era stato fondato al Cairo l’Istituto Egizio. Mentre Denon disegnava, gli altri scienziati e artisti misuravano, calcolavano, investigavano e raccoglievano quel che offriva loro la superficie dell’Egitto. E dico la superficie, perché il materiale si offriva apertamente alla vista, ancora intatto, e carico di tutti i suoi misteri, senza che ci fosse bisogno di ricorrere alla vanga. Accanto a riproduzioni, notizie, copie, disegni, materiale vegetale, animale, minerale, la collezione conteneva ventisette sculture, per lo più frammenti di statue e vari sarcofaghi. E c’era poi un oggetto di aspetto singolare: una stele di basalto nero con un’iscrizione in tre lingue e in tre diversi caratteri che divenne celebre col nome di “stele di Rosetta” e doveva costituire nientemeno che la chiave di tutti i segreti dell’Egitto!

La Stele di Rosetta al British Museum di Londra

La notizia della sua scoperta era apparsa immediatamente sul “Corrier de l’Egypte” sotto la data rivoluzionaria “Le 29 fructidor, VII année del la République. Rosette, le 22 fructidor, an 7”. Un caso raro e fortunato portò questo giornale pubblicato in Egitto nella casa paterna di colui che venti anni dopo, con un lavoro geniale e senza pari, avrebbe letto l’iscrizione della stele e avrebbe sciolto così l’enigma dei geroglifici: Jean-François Champollion!”. Ma questa è un’altra storia, così ricca di fascino e prodigi, che merita di essere raccontata, per intero, in un prossimo articolo. 

Mary Titton

PRIMO PIANO

Olimpiadi 2021

Oggi 23 luglio è il giorno della cerimonia d’inaugurazione della XXXII Olimpiade, che si sarebbe dovuta svolgere nel 2020, ma era stata rimandata a causa della pandemia, pur mantenendo per ragioni di continuità e di marketing, la dicitura “Tokyo 2020”: alle 13.00 ora italiana (le 20:00 in Giappone) l’inizio ufficiale con uno show inaugurale organizzato dal Paese ospitante tra musiche e coreografie, a cui è seguita la tradizionale accensione del Braciere Olimpico con la fiaccola olimpica, che, realizzata da Tokujin Yoshioka, si ispira al ciliegio giapponese, è caratterizzata da cinque colonne a forma di petalo e un rivestimento di colore rosa-oro detto “oro sakura” e rimarrà accesa durante tutta la durata dei Giochi, fino al 9 luglio. Suggestiva la parata dei Paesi partecipanti che hanno sfilato guidati dai rispettivi portabandiera: 204 nazioni, per un totale di 206 delegazioni, compresi il Team Olimpico dei Rifugiati e gli atleti sotto la bandiera del Comitato Olimpico Internazionale. La prima bandiera nello stadio è stata, come da tradizione olimpica, quella della Grecia, retta dalla tiratrice Anna Korakaki e dal ginnasta Eleftherios Petrounias. Poi è toccato al team dei rifugiati e a seguire alle altre nazioni, secondo l’ordine alfabetico giapponese, a cominciare da Islanda e Irlanda. L’Italia è stata la 18ma, con Jessica Rossi e Elia Viviani, i portabandiera scelti dal Coni e 384 atleti con sulle tute il sol levante tricolore. Le ultime nazioni a sfilare, prima del Giappone, padrone di casa, sono stati gli Stati Uniti, la delegazione numero 204 aperta dalla leggenda del basket Sue Bird e da Eddy Alvares, giocatore di baseball, e la Francia, 205a, dietro la judoka Clarisse Agbegnenou e il ginnasta Samir Ait Said, con sopra le divise una tuta simile a quella di medici e infermieri, in omaggio a chi ha lottato in prima linea in questi anni. I padroni di casa sono stati ultimi dietro la lottatrice Yui Susaki e Rui Hachimura, che gioca in Nba coi Washington Wizards. Forte emozione si è diffusa nello stadio quando una enorme sfera, fatta di luci che ricostruiscono i continenti della Terra, ha cominciato a roteare luminosa, seguita  dalle note di Imagine, la storica canzone di John Lennon, inneggiante alla fratellanza di tutti i popoli, cantata dal Suginami Junior Chorus. La cerimonia si è conclusa con l’accensione del fuoco olimpico da parte di Naomi Osaka, giovane fenomeno del tennis mondiale. L’apertura è stata rispettata ad ogni costo, anche se è mancato il clima di festa per l’assenza degli spettatori a causa delle restrizioni e per la preoccupazione per i contagi fra atleti, giornalisti e staff. Si è registrato, infatti, il numero più alto di nuovi casi covid degli ultimi sei mesi, 1.979 positivi nelle ultime 24 ore, nonostante gli organizzatori abbiano blindato il villaggio olimpico e abbiano messo in atto stringenti ed eccezionali misure di sicurezza. Osservando il contesto olimpico all’esterno delle venus, i siti di gara, in città ci sono pochi riferimenti all’evento, gli autobus dell’organizzazione sono anonimi e non c’è l’Olympic lane, la corsia olimpica, gli striscioni dell’organizzazione “Tokyo 2020” di colore bianco, rosa e rosso granata sono presenti solo nei pressi dei palazzetti e degli stadi che ospitano le gare, all’esterno del centro stampa e qualcuno in centro. Su tutto questo incide pesantemente la forte contrarietà del popolo giapponese ai Giochi, circa l’80%, che teme il dilagare della pandemia anche perché solo il 15% della popolazione risulta immunizzato e molti sono gli anziani. Un po’ di storia. I Giochi olimpici affondano le loro radici nel mito e nella storia dell’antica Grecia, furono infatti delle celebrazioni atletiche e religiose, che si svolgevano ogni quattro anni nella città di Olimpia, in Grecia, storicamente dal 776 a.C. al 393 d.C., quando furono sospesi dall’imperatore Teodosio. La prima menzione dei giochi sportivi nella letteratura greca risale a Omero che descrive nel XXIII canto dell’Iliade dei giochi funebri organizzati da Achille per onorare la memoria di Patroclo, ucciso durante la guerra di Troia, Pindaro, vissuto nel V secolo a.C., autore di 14 odi olimpiche, riferisce poi alcune delle origini mitiche dei giochi. Alla fine del XIX secolo il barone Pierre de Coubertin ebbe l’idea di organizzare dei giochi simili a quelli dell’antica Grecia, e quindi preclusi al sesso femminile, ma su questo punto non venne ascoltato. Le prime Olimpiadi dell’era moderna si svolsero così ad Atene nel 1896. A partire dal 1924 vennero istituiti anche dei Giochi olimpici specifici per gli sport invernali, esistono poi anche le Paralimpiadi, competizioni fra persone disabili. A partire dal 1994 l’edizione invernale non si tiene più nello stesso anno dell’edizione estiva, ma è sfasata di due anni.


Domande, curiosità?

SIAMO A TUA DISPOSIZIONE

Chiedi informazioni sulle Opere