Donne coraggiose

DALLA STORIA

La giornalista Maria Grazia Cutuli viene barbaramente uccisa in Afghanistan

 

Catanese di nascita, Maria Grazia Cutuli lavorava per il Corriere della Sera, a Milano quando a 39 anni, il 19 novembre 2001, fu uccisa a colpi di kalashnikov in un agguato in Afghanistan, lungo la strada tra Jalalabad e Kabul. La giovane giornalista aveva lunghi capelli rossi, un fisico minuto, un carattere determinato e tenace ma, soprattutto, aveva le idee chiare su quello che voleva fare: stare nelle cosiddette “trincee del dolore” per testimoniare di prima mano, attraverso i suoi articoli coraggiosi, i fatti e il dolore tragico delle popolazioni, in particolare quello dei bambini vittime degli orrori della guerra. Ne scriveva con puntigliosa professionalità, svolgendo bene il suo lavoro di giornalista con dedizione, rigore e passione, per amore della verità, una vera “leonessa”. “Apparteneva a quelle persone la cui stanchezza si trasforma in fuoco”, così l’aveva ricordata una collega del giornale all’indomani della tragedia. Il giorno prima del suo assassinio, il Corriere della Sera aveva pubblicato un suo reportage, uno scoop, su un deposito di gas nervino in una base abbandonata dai terroristi di Al Qaeda, l’ultimo di una lunga serie di articoli che Maria Grazia aveva scritto da una delle zone più turbolente del momento sia per il Corriere sia per altri giornali per cui aveva lavorato in passato. La giornalista si era laureata all’Università di Catania con una tesi su “Spazio e potere” di Michel Foucault con il massimo dei voti e aveva esordito nella sua Catania, in un primo momento scrivendo di teatro per la Sicilia, poi lavorando in video conducendo il telegiornale dell’emittente locale Telecolor. Nel 1987, il salto a Milano, alla Mondadori: prima il periodico Centocose, quindi il settimanale Epoca. Per Epoca, Maria Grazia scrive dalla Bosnia, dal Congo, dalla Sierra Leone e dalla Cambogia. Quando la testata chiude, segue un corso di peacekeeping alla Scuola Superiore di Sant’Anna di Pisa, per poi trascorrere da volontaria un periodo in Ruanda con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Nel 1997 ritorna alla sua professione di giornalista con il Corriere della Sera che le offre un contratto a termine alla redazione Esteri e, nel 1999, la assume definitivamente. Due anni più tardi, la tragica morte insieme all’inviato del quotidiano El Mundo Julio Fuentes, il report australiano Harry Burton, l’operatore afgano Azizullah Haidari entrambi della Reuters, tra le montagne dell’Afghanistan. Per far luce sul tragico episodio vennero istituiti due processi, uno in Italia e l’altro in Afghanistan, che hanno portato alla pena capitale tre persone. La prima delle condanne è stata eseguita a Kabul l’8 ottobre 2007: in quella occasione la famiglia di Maria Grazia ha ribadito la propria contrarietà (la madre diede lezione opponendosi alla condanna a morte dei killer dicendo “Inutile, non ci restituisce nostra figlia”). In ricordo di Maria Grazia, nel 2008, è stata istituita la “Fondazione Maria Grazia Cutuli”, un’Organizzazione non lucrativa di Utilità sociale che persegue finalità di solidarietà sociale come la promozione e il sostegno di progetti nel campo dell’istruzione e della formazione della professione del giornalismo con l’obiettivo di favorire la lettura della stampa e dei quotidiani e dei loro protagonisti, di stimolare la ricerca e il conseguimento di un’effettiva libertà di stampa e della completezza dell’informazione, di aiutare i giovani che vogliono intraprendere la professione giornalistica, di aiutare le donne che incontrino difficoltà nell’accesso o nello svolgimento di questa professione, di creare le condizioni per una maggiore sicurezza dei giornalisti e degli operatori della comunicazione che svolgano la loro attività in zone di guerra o di guerriglia, in aree instabili politicamente o sottoposte ad attacchi terroristici, in territori colpiti da gravi calamità naturali. Fra le sue principali attività organizza il Premio internazionale di giornalismo Maria Grazia Cutuli e il Corso di perfezionamento per giornalisti in aree di crisi. A partire dal 2009 la Fondazione presieduta da Mario Cutuli, fratello della giornalista, si è impegnata nel campo degli aiuti umanitari per la ricostruzione di aree di crisi con il progetto di una scuola elementare a Kush Rod, a 15 chilometri da Herat, inaugurata il 4 aprile 2011; “Un segno tangibile”, ama ripetere il fratello Mario “dell’amore di Maria Grazia per quei paesaggi, per quei cieli, per quella gente, per quei bambini”. Ora con la recente riconquista di Kabul da parte dei talebani, che riporta indietro di vent’anni le lancette della Storia, alla domanda di che ne sarà della “Scuola blu” Mario Cutuli  risponde “Al momento non abbiamo ancora notizie certe, se non che la scuola è stata operativa fino alla caduta di Herat. Capire quali saranno le sorti di quel progetto non è facile, anche perché, già in passato, non sempre il personale docente si è trovato d’accordo sull’impostazione da seguire, diviso, a volte, tra aperture occidentalizzate e posizioni più tradizionaliste. Il percorso non è stato semplice. A un certo punto è stato proposto di aprirla solo ai maschi: noi chiaramente ci siamo opposti e abbiamo sempre fatto in modo che accogliesse bambine e bambini insieme. Chiaramente adesso siamo preoccupati e rimaniamo in contatto con il Ministero degli Esteri italiano per capire come poter agire”. Purtroppo, quello che attende le donne afgane è un futuro oscurantista. A soli trenta giorni dal ritiro delle truppe occidentali da Kabul, il risultato più concreto raggiunto dai talebani è la cancellazione delle donne nello spazio pubblico. Un potere maschile di tribale provenienza quello del governo talebano che conferma al primo posto la sua priorità di negare alle donne afgane ogni possibile diritto per isolarne la presenza tra le pareti domestiche con l’unica funzione di procreare. A loro la mia solidarietà.

 

Bambini presso la “Scuola blu”

Mary Titton

PRIMO PIANO

“Il bla bla bla”sul clima e la auspicata ripresa post-covid.

 

Negli ultimi giorni di settembre e nella prima settimana di ottobre sulle maggiori testate nazionali e sui media non è stato più il covid in primo piano, infatti l’attenzione si è spostata su alcuni temi ed eventi di grande impatto e attualità, come le elezioni amministrative che hanno fatto registrare un forte astensionismo, sulle cui cause hanno inciso sia il covid e il governo di emergenza sia la crisi dei partiti, fattori che meriterebbro un’analisi approfondita in attesa dei ballottaggi in importanti città come Torino, Trieste, Roma. Un grande spazio ha occupato soprattutto la Youth4Climate, la conferenza dei giovani sul clima, che, voluta appositamente dal Governo italiano, si è tenuta a Milano da martedì 28 settembre a giovedì 30 e ha dato l’opportunità a quattrocento giovani di tutto il mondo, due per Paese, di discutere della crisi climatica e di fare proposte su come affrontarla, da portare alla Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Cop26), che si svolgerà a a Glasgow dall’1 al 12 novembre sotto la presidenza dell’Italia e del Regno Unito. I giovani, divisi in gruppi tematici, hanno lavorato all’elaborazione finale dei documenti, avanzando proposte stringenti su come coniugare la ripresa economica post-covid con gli obiettivi sul clima di Parigi e come costruire una società più consapevole delle sfide climatiche. In apertura l’intervento di  Greta Thunberg, la giovane svedese, che nel 2018 ha dato il via ai “#FridaysForFuture”(gli scioperi del venerdì), movimento ambientalista internazionale di protesta, composto da studenti che decidono di non frequentare le lezioni scolastiche per partecipare a manifestazioni in cui chiedono e rivendicano azioni contro il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Il discorso di Greta è stato duro e accusatorio nei confronti di leader politici capaci solo di andare avanti con il bla bla bla, espressione ripetuta più volte dalla giovane attivista, che ha criticato nuovamente l’approccio, volutamente non pragmatico, dato dalla politica all’emergenza climatica. “Il cambiamento climatico non è solo una minaccia, ma soprattutto un’opportunità per creare un pianeta più verde e più sano.”, ha esordito la giovane attivista. “Quando parlo di cambiamento climatico cosa vi viene in mente? Io penso ai posti di lavoro, ai lavori verdi, ecologici – ha continuato – dobbiamo trovare una transizione senza traumi, perché non c’è il piano B, non c’è il piano bla bla bla. Qui non stiamo parlando semplicemente di un costoso e politicamente corretto green washing bla bla bla, green economy bla bla bla, net zero al 2050 bla bla bla. Non si può andare avanti con il bla bla bla. È tutto quello che sentiamo dai nostri cosiddetti leader politici. Parole che sembrano bellissime ma per ora non hanno portato ad alcuna azione”. Trent’anni, secondo Greta Thunberg, di parole, “di bla bla bla”. “E dove siamo?”, si chiede l’attivista. Ancora una volta è stata affrontata la principale emergenza ambientale della nostra era, quella climatica, su cui già da tempo gli scienziati hnno messo in guardia, sollecitando gli Stati a cambiare registro nello sfruttamento delle risorse naturali e a tagliare la CO2  per evitare i disastri del riscaldamento globale, cosa che invece non avviene, come ha sottolineato Greta, perché “ continuano ad aprire miniere di carbone e a sfruttare giacimenti, senza aumentare i fondi ai Paesi vulnerabili”. L’urgenza di un’inversione di tendenza pare sia stata recepita anche dal nostro premier Mario Draghi, che, nella replica agli interventi dei giovani del Cop26 alla fine dello Yoyth4Climate di Milano, tornando sul bla bla bla ripetuto da Greta  nella sua espressiva e implicita connotazione critica, pur riconoscendo che “a volte è solo un modo per nascondere la nostra incapacità di agire”, ha messo in evidenza come questa transizione debba essere affrontata “in maniera equa e inclusiva”dei Paesi più poveri, dei più fragili e soprattutto dei giovani, di cui è in gioco il futuro. La ripresa post-covid che s’intravede non può e non deve essere un semplice tornare indietro allo status quo precedente, senza tener conto dell’inquinamento e del riscaldamento globale, ma deve essere un passaggio intelligente a nuove forme di energia pulita, che consentano una migliore qualità di vita a tutti i popoli della terra e tengano conto  delle implicazioni socio-economiche e delle disuguaglianze, oggi purtroppo ancora esistenti, tra Paesi ricchi e poveri. A suggello le parole di papa Francesco pronunciate ieri 7 ottobre alla Università Lateranense : “Credo che ne siamo tutti consapevoli: il male che stiamo procurando al pianeta non si limita più ai danni sul clima, sulle acque e sul suolo, ma ormai minaccia la vita stessa sulla terra … La complessità della crisi ecologica, infatti, esige responsabilità, concretezza e competenza.”


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