DALLA STORIA
Il 6 luglio 1957 i giovanissimi John Lennon e Paul McCartney incrociano i loro destini sul palcoscenico della Woolton Parish Church nel corso di un concerto Rock in cui sono chitarristi in due diversi gruppi musicali. Tra il 1958 e il 1962 si aggiungono George Harrison e Ringo Starr; insieme daranno vita a un gruppo musicale che cambierà la percezione del mondo per milioni di ragazze e ragazzi e non solo. Il fenomeno Beatles è tuttora oggetto di studio da parte di sociologi, ai corsi universitari di comunicazione e così via. C’è chi si interroga dubbioso sulle loro canzoni: “sì, belline ma tutto sommato non dicono niente di speciale”, ma ne resta fatalmente incantato! Qual è il mistero? Posso parlare per me. Le loro canzoni e la loro musica sono semplicemente incantevoli, perché ogni sonorità, anche la più forte e arrabbiata oppure la più divertente o struggente, è piena di poesia. La loro musica porta a un sentire di pura bellezza dove le note si inseguono in un continuum armonico pieno di elementi creativi e originalissimi. In realtà, in quella musica ci sono loro, i Fab four, nella loro componente umana e nella loro espressione artistica da cui emerge un “uomo nuovo”; non più il modello stereotipato del maschio dominante e ingessato nei cliché imposti dalla società, ma un uomo che al contrario contesta proprio quel modello arrogante. Yeh, Yeh, Yeh … Uh, Uh, Uh … Un uomo dolce che non teme l’universo femminile, ma lo riconosce anche come proprio nella ricchezza della fantasia, dell’immaginazione, nella tenerezza, nel gusto del gioco, nell’universalità spirituale. I Beatles non hanno mai sbagliato un pezzo, come avrebbero potuto, la loro musica non era commerciale era arte e loro suonavano e pensavano così, in modo innovativo. Diciamo la verità ci manca l’impegno pacifista di John Lennon, l’intensità e la spiritualità di George Harrison e ci mancano tutti loro insieme in quella unità magica e, potremmo dire alchemica, di talenti e spiriti liberi, che con la loro musica hanno contribuito all’evoluzione di una coscienza collettiva più alta. Oggi è possibile sentire “dal vivo” ancora Paul McCartney che attraverso i concerti organizzati in tutto il mondo ci fa riascoltare la musica dei Beatles. Su you tube, tra i molti, c’è quello registrato a Mosca nel 2003; è sorprendente osservare le espressioni dei fan russi che da giovani erano costretti a sentire quella musica “rivoluzionaria” in modo clandestino perché proibita dal regime. Ora davanti al palco i fan non urlano in modo isterico, sono felici ed eccitati, ballano al ritmo di “Back in the USSR” (sembra la loro preferita). Molti piangono sopraffatti dall’emozione di trovarsi davanti a tanta bellezza e libertà di espressione così a lungo ostacolate.
Da “I giorni del Rock”. Edizioni White Star. Ernesto Assante
“Lo skiffle era una forma povera di rock’n’roll, mescolata con la musica tradizionale e folk, che andava per la maggiore in Inghilterra a metà degli anni ’50. Veniva spesso suonata con strumenti ricavati da oggetti d’uso quotidiano, come tavole per lavare i panni (washboard) o scatole di metallo alle quali veniva attaccato un bastone con una corda tesa per creare un rudimentale contrabbasso (tea chest bass). Era la musica dei giovanissimi che nel dopoguerra erano alla ricerca di qualcosa che avesse il ritmo e lo spirito giusto. John Lennon amava il rock’n’roll, frequentava la Quarry Bank School di Liverpool e voleva avere una sua band. Così mise su i Quarrymen, una skiffle band di adolescenti che suonava in giro, dove poteva, dove capitava. Il 6 luglio del 1957, la Parish Church di Woolton, il quartiere dove John viveva con sua zia Mimi, decise di organizzare una festa, un ballo in cui la musica sarebbe stata suonata dal vivo. Quale migliore occasione per i Quarrymen per esibirsi? John e i suoi compagni, Eric Griffiths, Colin Hanton, Pete Shotton, Rod Davis e Len Garry, salirono su un camion scoperto e, suonando, arrivarono alla chiesa insieme alla processione. Ivan Vaughan, fraterno amico di John e “fan” dei Quarrymen, pensò che quella fosse l’occasione giusta per farlo incontrare con un altro suo amico. Si trattava di Paul McCartney, un ragazzo che sapeva suonare bene la chitarra, aveva una bella voce e sarebbe stato certamente un membro perfetto per la band. Così chiamò Paul e decise di organizzare l’incontro fra i due proprio in occasione della festa nel giardino della Parish Church. Alla fine del piccolo concerto della band, i ragazzi andarono nell’oratorio della chiesa e fu lì che Ivan presentò Paul a John. I due, a dire il vero, a prima vista non si piacquero, ma quando Paul iniziò a suonare la chitarra e a cantare un brano di Eddi Cochran, “Twenty Fligt Rock”, John capì immediatamente che quel ragazzo era l’ideale per la band, che con lui avrebbe potuto combinare di sicuro qualcosa di buono, e invitò Paul a unirsi ai Quarrymen. Ci vollero alcuni mesi, durante i quali i due diventarono inseparabili, per portare il gruppo alla prima esibizione ufficiale con Paul, il 18 ottobre del 1957 al Conservative Club. Ma il vero inizio della più grande leggenda, anzi favola, o meglio ancora rivoluzione nella storia della musica popolare moderna fu questo: una festa nel cortile di una chiesa nel cui cimitero è sepolta una certa Eleanor Rigby”.
Mary Titton
PRIMO PIANO
Premio Strega 2021
Ieri sera, 8 luglio, alle 23:00, nel Ninfeo del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, a Roma, si è svolta la serata finale della 75esima edizione del Premio Strega, istituito nel 1947 dalla scrittrice Maria Bellonci e da Guido Alberti, proprietario della casa produttrice del Liquore Strega, che dà il nome al Premio e si ricollega alle storie sulla stregoneria a Benevento, risalenti ai tempi dell’antichità classica. Dopo la presentazione dei cinque finalisti in gara e delle loro opere in modo coinvolgente e agile da parte di Geppi Cucciari, il Presidente della giuria Sandro Veronesi, primo nell’edizione 2020 con “Il colibrì”, ha proclamato il vincitore: Emanuele Trevi con il romanzo “Due vite” (Neri Pozza). Figlio dello psicoanalista junghiano Mario Trevi, lo scrittore, 56 anni, romano, riprende da Elémire Zolla la teoria iniziatica della letteratura, concependo l’opera scritta come la guida rivelatrice di un percorso graduale a tappe, orientato all’«accesso alle verità nascoste dell’esistenza» e come uno strumento di autotrasformazione dell’autore e dei suoi lettori. Trevi è editor e autore di saggi e romanzi e ha scritto su riviste come Nuovi Argomenti e Il caffè illustrato e su quotidiani quali la Repubblica, la Stampa e il manifesto. Come ha spiegato lo stesso autore, il romanzo “ha come argomento proprio l’amicizia”, infatti cerca di “allungare la memoria” di due scrittori prematuramente scomparsi, Rocco Carbone e Pia Pera, a cui Trevi era legato da profonda amicizia. Amicizia stretta quella tra Emanuele, Rocco e Pia, fatta di momenti esaltanti di condivisione (loro tre a Parigi davanti al quadro di Courbet, “L’origine del mondo”) e di momenti di scontro. Nel libro vengono ridisegnati i tratti di entrambi questi scrittori, Rocco è descritto come un uomo dalla fisionomia e dal carattere spigoloso, mentre Pia con un aspetto da “signorina inglese”, raffinata e seducente, “incantevole”. La vita di Rocco Carbone si è interrotta bruscamente per un incidente in motorino nel 2008 e curare il suo libro postumo per Trevi è stato un modo per riallacciare il dialogo interrotto con lui, per allontanare il rimpianto di non essere stato capace di stargli vicino come lui avrebbe voluto; Pia Pera, traduttrice dal russo di Pušhkin e Čechov e creatrice di un bellissimo giardino, affetta da Sla, è morta nel 2016. Secondo l’autore le persone perdute, con cui ha condiviso le esperienze di quell’età particolare che è la giovinezza, nella scrittura si manifestano realmente, non come nel sogno quale proiezione dell’immagine da parte del nostro io, ma quasi fossero dotate di volontà autonoma, “nella scrittura si realizza quasi una specie di piccolo miracolo della presenza dell’assente”. Emanuele Trevi ha avuto 187 voti e si è affermato davanti a Donatella Di Pietrantonio, che ha raggiunto quota 135 con il suo “Borgo Sud” (Einaudi), la storia di due sorelle, Adriana e Arminuta, e del loro rapporto ritrovato da adulte dopo aver vissuto il disamore materno, l’abbandono, “la deprivazione degli affetti” e due grandi amori, “sacri e un po’ storti”, da cui sono state entrambe ferite. Al terzo posto con 123 voti con “Il pane perduto” (La nave di Teseo) Edith Bruck, già vincitrice dello Strega Giovani 2021. La scrittrice, a 90 anni, ripercorre la sua vita e “la bambina che, al sole della primavera, con le sue treccine bionde sballonzolanti correva scalza nella polvere tiepida. Nella viuzza del villaggio dove abitava, che si chiamava Sei Case”, in Ungheria, è l’autrice stessa, il cui calvario ha inizio con quelle pagnotte preparate dalla madre per tutta la famiglia, che rimangono sul tavolo da cucina e non vengono consumate per l’irrompere dei nazisti con il loro sadico piano dello sterminio di tutti gli ebrei. Il libro rievoca il vagone che porta alla morte, il numero tatuato sul braccio, la delirante quotidianità del campo di concentramento, l’annientamento della propria famiglia, infine la sopravvivenza, il peregrinare per varie città, dove non c’è accoglienza e voglia di ascoltare, poi lo sbarco a Napoli, il sentirsi a casa in Italia, l’incontro nel 1957 con il marito, il regista Nelo Risi, 70 anni insieme, l’imparare “a non odiare”, ma a raccontare, soprattutto ai giovani per il loro futuro, e una lettera a Dio: se sono sopravvissuta avrà un senso, no? Al quarto posto con 78 voti Giulia Caminito, scrittrice di romanzi storici, con il suo “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani), il lago di Bracciano, in cui il nome della protagonista Gaia appare solo una volta perché parla in prima persona delle sue ribellioni all’ingiustizia sociale, ai tradimenti di chi ama, alle brutture del mondo; come tutti gli adolescenti vorrebbe cambiare l’ordine delle cose, ma senza riuscirci. La cinquina si completa con Andrea Bajani e “Il libro delle case”, 66 voti, fatto di istantanee delle case dove è vissuto per reincontrarsi e ritrovare la propria identità: in mezzo ad amori, separazioni, urla, litigi, sussurri, passa la tartaruga, metafora della “preistoria”.
Buona lettura!